"Avete fatto caso che gli unici roghi della storia riguardano libri e streghe?"

Una genesi contorta e travagliata

Ma quanto ci piacciono quegli scrittori controcorrente, non completamente emersi, nonostante la loro grandezza. Quanto ci piacciono quelle opere che sembrano frutto di un complicato compromesso tra miracolo urbano e fantasia assoluta, per poi rivelarsi in una “terza via” che ne mette in mostra un fascino muovo e impensabile.

E quanto ci piacciono le cose anticonvenzionali, che ci portano a rileggere, a riscrivere, a ripensare tutti i nostri mondi. Nella consapevolezza finale che niente di quello che l’uomo produce possa durare in eterno.

Premessa ampia, per parlare qui di uno scrittore, anzi una scrittrice, che solo per l’accanimento del caso non ha avuto ancora la ribalta di un David Foster Wallace o di un Jonathan Franzen. E scusate se è poco. Però Helen DeWitt (americana, nata nel 1957) dà  a tutti i critici questa impressione. Che la sua supernova, cioè, possa esplodere da un momento all’altro, e ridisegnare questo quadrante di universo.

 

The Last Samurai (New York, Hyperion / Talk Miramax, 2000). Prima edizione originale.

Il suo debutto fu nell’ormai quasi già lontano anno 2000 con The Last Samurai (New York, Hyperion / Talk Miramax, 2000). Nulla a che vedere con l’omonimo film del 2003 di Edward Zwick con Tom Cruise. Quello della DeWitt è un romanzo completamente inaspettato, che però la critica recepisce bene, anzi perlopiù innamorandosene alla follia. In Italia arriva a poca distanza con il titolo scontato L’ultimo Samurai (Torino, Einaudi, 2002).

 

 

 

Di cosa parla il libro?

Il romanzo è tutto incentrato nel rapporto tra una madre (Sibylla) e il figlioletto Ludo. Sibylla è una madre single che viene da un’educazione rigida e suo figlio – che lei cresce secondo i propri dettami – sviluppa da subito un’intelligenza e un atteggiamento verso l’apprendimento a dir poco clamoroso.

Sibylla educa Ludo in una sorta di visione poliglotta e immanente della realtà. Gli insegna a leggere greco antico all’età di quattro anni, per poi passare all’ebraico, al giapponese, al norreno.

Ludo studia “matematicamente” e analizza il capolavoro di Akira Kurosawa, I sette samurai. Compie delle associazioni verbali, mnemoniche e concettuali che nessun altro è in grado di fare. La madre risponde a tutte le sue curiosità tranne a quella sull’identità di suo padre. Gli fa vedere continuamente il film affinché Ludo – senza una figura maschile di riferimento nella sue educazione – ne possa comunque avere una sintesi propedeutica.

Il libro è una vera e propria maratona intellettuale, dove i riferimenti fuori dal testo abbondano e spesso comprimono il testo stesso ma non mancano di creare un mondo a più livelli, perfettamente leggibile.

L’ultimo Samurai non è autobiografico, in nessun modo. La DeWitt non ha figli e da adulta non ha mai trascorso molto tempo con i bambini.

Alla base concettuale de L’ultimo Samurai c”è l’idea che la maggior parte delle persone non raggiunge il proprio potenziale perché la cultura mainstream li convince del fatto che ci sono cose che loro non potranno mai fare. E credo che proprio questo sia il segreto del libro, il motivo vero del suo successo. Perché ognuno può rivedersi in una simile visione della vita, ripensare a quella che sarebbe stata la propria esistenza con un’educazione diversa.

 

Le cose si complicano fin da subito

In definitiva, il libro in sé non ha alcun legame fattivo con il capolavoro di Kurosawa, sebbene il titolo alluda ad esso. Nelle intenzioni originali dell’autrice, avrebbe dovuto intitolarsi proprio The Seventh Samurai (trad. “Il Settimo Samurai“). Ma alla fine l’editore spiegò alla DeWitt che assegnare quel titolo al libro sarebbe stato legalmente impossibile, per via dei diritti cinematografici. Ci si doveva accontentare de L’ultimo samurai. E così fu.

The Seventh Samurai (London, Chatto & Windus, 2000). Con questo titolo il libro non uscirà mai.

The Last Samurai (London, Chatto & Windus, 2000).

Riguardo al titolo, che ricorda per puro caso il film uscito un anno più tardi, a quanto pare su Amazon rimane la scheda di un libro con questo titolo – mai concretizzatosi – dell’editore Chatto & Windus di Londra. Forse una “uncorrected proof“, una copia di lettura per redattori e lettori eccellenti della casa editrice.

L’ultimo Samurai fu comunque presentato alla Fiera di Francoforte nel 1999 e una dozzina di editori (tra cui Einaudi) ne comprarono i diritti per i loro paesi. Solo in lingua inglese il libro vendette nei primi mesi circa centomila copie, diventando un bestseller, un vero e proprio “caso”. Ma l’autrice non ebbe modio di godersi questo successo a causa di una serie di controversie legali originatisi dall’uso (evidentemente non autorizzato) delle citazioni in lingue straniere nel libro. Inoltre, il suo editore Hyperion / Talk Miramax chiuse improvvisamente (gli ultimi libri pubblicati dall’editore risalgono al 2004) quando stava per essere pubblicato il nuovo libro, Lightning Rods, che rimase nel limbo per un bel po’, finché la complessa procedura del passaggio dei diritti al nuovo editore non fu completata. Il libro uscirà infatti nel 2005 per New Directions di Londra.

 

La situazione del libro in Italia

L’ultimo Samurai (Torino, Einaudi, 2002).

In Italia, come detto, L’ultimo Samurai esce nel 2002, per Einaudi. Tradotto da Elena Dal Pra. Il libro ha un impatto immediato con il lettore. Ci sono molte pagine scritte in lingue straniere, anche in lingue cosiddette “morte” come il norreno. Però colpisce, incuriosisce. Si è di fronte, lo si avverte, a un colpo di magia, alla voce singolare e originale di un autore nuovo.

G. C. segnala che alcune delle copie che sono andate in commercio presentano degli errori tipografici nelle parti testuali in greco antico (font non omogenei) e delle imperfezioni nella sovraccoperta (non risulta ben centrata).

All’uscita del libro, scrive una bella recensione Stefano Bartezzaghi su La Repubblica:

“[…] DeWitt è una virtuosa dei dialoghi, degli incastri di segmenti narrativi, del ritmo. La sua scrittura corre veloce e allegra nei labirinti polidimensionali che disegna nel suo stesso farsi. Niente psicologia, tutta peripezia: pittori, giornalisti, antropologi, giocatori di bridge, gli avventurieri che capitano sott’occhio a Sibylla affluiscono tutti nel romanzo con le loro storie estreme.”

 

 

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[Si ringrazia G, C. per la prima segnalazione]

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