"Avete fatto caso che gli unici roghi della storia riguardano libri e streghe?"

Il miglior libro di cucina? Quello semplice: vallo a dire agli chef di oggi…

di Carlo Ottone

L’abbuffone. Storie da ridere e ricette da morire, di UgoTognazzi (Milano, Rizzoli, 1974). Prima ed.

L’abbuffone. Storie da ridere e ricette da morire, di UgoTognazzi (Milano, Rizzoli, 1974).

Nell’Ottobre di trent’anni fa ci lasciava, non per sempre, il grande attore cremonese Ugo Tognazzi (1922-1990) di lui ci sono rimasti i film, sia come attore sia come regista; calcò anche i palcoscenici teatrali. Si formò negli anni cinquanta nelle platee provinciali dell’avanspettacolo; ma qui si vuole segnalare un’altra sua attività, una sua passione: la cucina.
Anche in questo campo Tognazzi lasciò una documentazione scritta della sua arte culinaria. A cominciare da L’abbuffone. Storia da ridere e ricette da morire (Milano, Rizzoli, 1974). Il libro, e non poteva essere diversamente, è dedicato a Marco Ferreri, regista, a Michel Piccoli, Marcello Mastroianni e Philippe Noiret ovvero alla Grande Bouffe (La grande abbuffata, 1973), alla compagnia che recitò nell’omonimo film in cui i protagonisti decidono di suicidarsi con il cibo, e Tognazzi recita il ruolo di un cuoco provetto e proprietario di ristoranti, che si suiciderà mangiando un gigantesco paté da lui cucinato.
Il rapporto con la cucina è ben descritto dall’autore nella prefazione, un rapporto addirittura mistico:

“Nella mia casa di Velletri c’è un enorme frigorifero che sfugge alle regole della società dei consumi… è di legno, e occupa una intera parete della grande cucina. Dalle quattro finestrelle si può spiarne l’interno, e bearsi della vista degli insaccati, dei formaggi, dei vitelli, dei quarti di manzo che pendono, maestosamente, dai lucidi ganci. Questo frigorifero è la mia cappella di famiglia. Capita che ogni tanto…mia moglie mi sorprende inginocchiato davanti a quel feticcio, a questo totem dell’umana avventura. Me ne sto lì, raccolto in contemplazione, in attesa d’una ispirazione per il pranzo… Ho la cucina nel sangue, il quale penso, comprenderà senz’altro globuli rossi e globuli bianchi, ma nel mio caso anche una discreta percentuale di salsa di pomodoro”.

La cucina è la sua vita. “L’attore? A volte mi sembra di farlo per hobby…”.

Il libro, come la sceneggiatura di un film, si compone di tre parti: L’autogastrobiografia, che comprende una serie di ricordi che si rifanno alla vita di Tognazzi dove protagonista è sempre il cibo. La seconda parte è composta dalle sue ricette più facilmente realizzabili, il Ricettario. Per qualsiasi delucidazione, chiamate Roma Tre Ugo – Tre Ugo, facile, “…poiché io amo la cucina semplice quella che non porta via troppo tempo…” , ed è un florilegio di ricette come la Brioche al tartufo o le Costine alla Mao o Penne alla sgualdrina, una sua variazione del piatto che comunemente viene chiamato alla puttanesca; la checca sul rogo, un piatto di spaghetti; filetto Strogonoff come mi pare; una sua versione del vitel tonné, soltanto che al posto della carne di vitello propone la carne di maiale “Maial Tonné”; non manca una ricetta afrodisiaca:

Credo che nessun maestro della cucina italiana avrebbe il coraggio di parlarvi con la mia tranquillità dei Coglioni di toro al Pernod che lui serviva ai suoi commensali dicendo che erano delle fettine per della normale fesa di vitello, ma:

“…al momento del caffè prendetevi il gusto di avvertire i vostri commensali che hanno mandato giù qualcosa come mezzo coglione di toro a testa. Divertitevi alle reazioni. Saranno da test psicologico”.

Insomma, una cucina anche per ridere, diteglielo ai “Master Chef” pedanti e boriosi. L’ultimo atto, la Derniére Bouffe, l’abbuffata finale è dedicato alle ricette dei cibi protagonisti del film:

“Uno scoppiettante fuoco d’artificio finale che non potrà non soddisfare la vostra fantasia e soprattutto il vostro palato”.

Tognazzi nella presentazione di questo capitolo dichiara che La Grande Bouffe è:

“… l’esperienza più diversa, più fuori dalle righe, più fantastica che io abbia mai fatto in campo cinematografico… le nostre interpretazioni erano strettamente legate la cibo, se non addirittura determinate da esso… e noi arrivando sul set, anziché vedere con gli occhi le scene che avremmo girato, le vedevamo col naso.”

I cibi erano preparati apposta, sul set, da uno chef, e le ricette che Tognazzi riporta sono collegate alle varie sequenze come quella della sequenza 72: Torta Andrea nella quale bisogna:

”…fare una pasta frolla grossa quanto la metà di un bel sedere femminile. Spianarla a forma rotonda sul tavolo di legno. Alzare una donna prendendola sotto le ascelle, farla sedere a culo nudo sulla pasta, premere un po’. Baciare a lungo la donna in attesa che l’impronta si formi sulla pasta, a caldo”.

La sequenza fu girata in effetti come descritto nella ricetta, la donna era l’attrice Andrèa Ferréol; la sequenza finale prevede Bavarese di tette. In conclusione ancora una volta le sagge parole di Ugo Tognazzi:

“Riesumiamo quella morale epicurea della gioia, della vita, che fece grande la romanità e il Rinascimento… recuperiamo, nel caso del cibo… una dimensione che si sta sempre più disfacendo, assediata com’è dalle schiere dei liofilizzati, dei surgelati, degli inscatolati”.

 

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