"Avete fatto caso che gli unici roghi della storia riguardano libri e streghe?"

Alla ricerca dei cibi perduti di Luigi Veronelli

Un anarchico fuori dai giochi

 

Luigi Veronelli (1926-2004) non è stato abbastanza ricordato dai mass media in questi anni. Ci si è dimenticati troppo presto di quanto sia stato importante, fondamentale. Non solo per la storia dell’enologia e della gastronomia italiana. Ma, direi, soprattutto per essere stato colui che ha dato il via all’affermazione dell’Italy food nel mondo. Tutte le sue battaglie, le sue prese di posizione, i suoi appelli alla riscoperta delle tradizioni del Belpaese e contro il crescente strapotere delle multinazionali del cibo rischiano di rimanere un ricordo senza nome. Tutto questo patrimonio di conoscenze e di storia alla conquista di un’identità nazionale e di un riconoscimento internazionale andrebbero dovutamente custodite. Di questo oblio c’è solo una chiara e incontrovertibile motivazione: le mai nascoste simpatie anarchiche di Veronelli. E non essere di destra, di sinistra, di centro o di movimento, ma semplicemente “contro ogni forma di potere costituito” e contro ogni sistema politico, lo esclude ab aeterno da ogni rango, da ogni ordine riabilitativo. Tra qualche decennio qualcuno negherà perfino che sia mai esistito. Per fortuna ci sono i libri di carta, che non si possono cancellare con un clic, come si fa con una pagina indesiderata nel web.

Di Luigi Veronelli non ho potuto fare a meno di notare un suo importante libro, Alla ricerca dei cibi perduti (Milano, Feltrinelli, 1966) che oggi è sicuramente dimenticato, addirittura fagocitato dalle centinaia di libri spazzatura delle nuove star televisive della cucina stellata. Ma la sua importanza è tale, secondo me, che può benissimo essere ascritto al novero dei libri cult di cui in vari articoli su questo sito canto le gesta. Il fatto che sia un libro di cucina, beh, consideratelo del tutto incidentale.

Il libro è diventato raro, ma per fortuna non è ancora introvabile. Però, attenzione: diverse copie di quelle che appaiono in vendita o sono senza la sovraccoperta originale oppure fanno parte dell’unica ristampa (datata 2004) a cura di DeriveApprodi. Pochi sono gli esemplari integri e completi realmente disponibili. Cerco di sintetizzare questo aspetto nella galleria fotografica che segue:

Il libro è bellissimo. Vi propongo un “assaggio” dalla scheda editoriale di DeriveApprodi, nell’edizione del 2004 (un’edizione necessaria):

“Nella mia famiglia burlavano Don Rinaldo, lo zio prete, che sosteneva nessuno cuocere le uova al guscio meglio che le monache di corso Monforte. Probabilmente aveva ragione. L’uovo al guscio, a prepararlo con la minuziosa cura di ogni ricetta semplice, è vera e propria specialità.
L’uovo al guscio – Anzitutto preparatevi una casseruola adatta; perché lo sia vi si deve poter introdurre un cestello (di quelli usati per le fritture) che – qui è l’importante – non impedisca la chiusura del recipiente con un coperchio. Nella scelta della casseruola, ricordare anche che le uova hanno, letteralmente, da affogare nell’acqua. Mettere dunque la casseruola con abbondante acqua salata (per un sorprendente processo di osmosi ciò influisce sulla buona riuscita) su vivace fiamma e portarla a forte ebollizione. Ritirare la casseruola dal fuoco, solo ora immergervi il cestello in cui si sono adagiate le uova, coprire col coperchio e contare tre minuti. È importante che l’acqua sia abbondante perché la sua temperatura, introducendo il cestello, non scenda troppo, ma anche che la cottura avvenga fuori dal fuoco, a temperatura decrescente. Solo così le uova avranno, come scriveva il buon Cougnet, «quell’untuosità tanto pregiata dai buongustai».
Un momento. Oltre a saperle fare, le uova al guscio bisogna saperle mangiare. Io le mangio come gli inglesi (amiamo credere che mangino male; nulla è meno vero). Dopo aver decapitato l’uovo, con la piccola apposita ghigliottina, vi introduco un poco di burro, sale e pepe bianco appena macinato. Con un cucchiaino mescolo bene bene sino a che nel guscio si è formato un tutto unico. Allora lo assaporo immergendovi, lento, con la ieratica attenzione che conviene, delle fettine di pane di segale.”

 

 

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