"Ci sono libri che da prede si trasformano in predatori. Temete i loro morsi, bibliofili"

 

Da Cossiga a Kossiga: tra fumetti e fotografia

 

di Paolo Sidoni

 

Bologna, mattina dell’11 marzo 1977, non lontano dalle antiche mura della città felsinea. Il movimento cattolico di Comunione e Liberazione ha indetto un’assemblea in un’aula della città universitaria. Trascorrono solo pochi minuti quando un gruppo di studenti della sinistra extraparlamentare tenta di farsi strada fra le persone presenti con l’intenzione di impedire il convegno, ma il servizio d’ordine riesce a respingerli.
La notizia della cacciata si diffonde in un battibaleno. In neanche un’ora centinaia di estremisti raggiungono l’università, costringendo i giovani cattolici a barricarsi. Il rettore Rizzoli avvisa le forze dell’ordine della tensione che va montando. A quel tempo, il più delle volte, il dissenso delle frange politiche estreme si esprime con una violenza tale da far presagire lo scoppio di una guerra civile. Chiamati dal rettore dell’università, i carabinieri e il reparto celere della polizia intervengono. I gas lacrimogeni rendono l’aria irrespirabile, poi la carica contro i contestatori.

Negli scontri vengono lanciate bottiglie molotov dalle fila degli estremisti ed esplosi colpi di pistola da parte delle forze dell’ordine. Un proiettile sparato da un carabiniere di leva colpisce il venticinquenne Francesco Lorusso, trafiggendogli il torace. Lorusso riesce a fare solo pochi passi prima di accasciarsi al suolo, senza vita. A metà pomeriggio l’ira si scatena. Migliaia di estremisti si riversano all’università dando vita a un corteo non autorizzato, subito contrastato duramente dalla polizia. Gli scontri si protraggono nei giorni seguenti. Ma la polizia è preparata.

In un libro-intervista di Claudio Sabelli Fioretti (Francesco Cossiga, L’uomo che non c’è, Aliberti, 2007), l’allora ministro dell’Interno Francesco Cossiga ricorda: «Dissi al vicequestore di avvertire gli studenti che la mattina dopo io avrei voluto passare alla storia, che l´avevo presa come una sfida personale, che essendo sardo ero anche un po´ bandito, e che avevo dato l´ordine di sparare a chiunque si opponesse con la forza, e dissi anche di dire che secondo lui io ero ormai ammattito».

I reparti della celere sono appoggiati dai blindati M113, veicoli militari cingolati per il trasporto delle truppe dal l’aspetto di piccoli carri armati. Selciato stradale divelto e i cubetti di porfido recuperati per essere scagliati contro la polizia, barricate di fortuna create dagli estremisti ribaltando le automobili in sosta date alle fiamme, gas lacrimogeni che impediscono la visuale e fanno bruciare e lacrimare gli occhi, proiettili esplosi da ambo le parti fendono l’aria: intorno all’università è un campo di battaglia. Non si è mai visto un torbido di piazza di tale violenza.

È in quella occasione che Cossiga viene ribattezzato Kossiga. Al posto della doppia S il simbolo runico delle SS di hitleriana memoria e invece della C la K, ripresa da “L’Amerikano” di Costa-Gavras, una pellicola uscita nelle sale pochi anni prima su un agente dell’FBI divenuto istruttore e consigliere per conto di Washington delle polizie delle dittature sudamericane.

Da allora fiumi di vernice delle bombolette spray degli estremisti – sia di sinistra che di destra – hanno come nemico numero uno Cossiga, simbolo del potere e dell’uso eccessivamente disinvolto della repressione. Sono slogan virulenti: “Kossiga assassino” o “Kossiga boia è ora che tu muoia”. Ma anche motti goliardici, come “Kossiga zuzzurellone” e “Kossiga come Kabir Bedi te puzzano li piedi”.

 

Il primo a metterci la firma

Se nessuno può assumere la paternità di questa mutazione calligrafica, a metterci per primo la firma – siglandosi Apaz – è invece il disegnatore Andrea Pazienza. Trasferitosi a Bologna da San Benedetto del Tronto, Pazienza inizia a frequentare un collettivo, così si autodefiniscono le aggregazioni spontanee dell’estrema sinistra, nei pressi di piazza Maggiore.
Nei giorni di quel fatale marzo del ’77 – che fanno da sfondo a “Le straordinarie avventure di Pentothal” (in Alter Alter, n° 9 settembre 1980, Milano Libri), il suo primo comic edito nei Giardini nei pressi del DAMS dove studia, il geniale fumettista inizia a disegnare alcune vignette su fogli 100×70.

Accanto a lui è Giovanni Battista Pesce, che se le fa consegnare per ridurne il formato e ciclostilare un libretto dal titolo “Il Kossiga furioso”. Scopo, l’autofinanziamento del collettivo. È una brossura a fogli sciolti di 24 pagine con i 20 disegni di Pazienza, una introduzione a firma “Le Vipere Padane” e un testo anonimo in appendice.

Nell’estate del 1985 “Il Kossiga furioso” viene riproposto nel numero 4-5 della rivista a fumetti Frizzer. Con le tavole originali, custodite gelosamente da Pesce, nel giugno del 2000 presso la galleria Cristofori di Bologna si dà invece vita a una mostra con la pubblicazione del relativo catalogo, introvabile.

 

Una mostra fotografica

Poco meno di trent’anni dai fatti bolognesi, scartabellando tra le carte del padre, la figlia di Cossiga, Anna Maria, scova una serie di fotografie che documentano le scritte contro il genitore vergate sui muri della Capitale dagli estremisti durante gli Anni di piombo. A fare quegli scatti era stato, su disposizione del Viminale, un agente della DIGOS.

Incuriosita, Anna Maria gira e rigira tra le mani quelle immagini quando in mente gli balena un’idea. Gli anni ’70 erano stati un periodo di intensi e dolorosi scontri politici e sociali che avevano contrassegnato la storia d’Italia; perché allora, con quei materiali, non organizzare una mostra?
Il titolo del vernissage non poteva che essere lo slogan più utilizzato dai gruppi violenti che predicavano come unica via politica quella armata: “Kossiga boia”.
A ospitarlo si rende disponibile, nel 2006, la galleria romana Monserrato Arte 900. A curare l’esposizione e il catalogo sono Vincenzo Mazzarella e Roberta Giulieni. Nella pubblicazione Mazzarella interviene con una poesia, due pagine vengono invece dedicate alle riflessioni di Anna Maria Cossiga e di suo padre. “Chissà se questa mostra di ribellione, accuse e minacce non ci spinga una volta tanto a meditare su cause ed effetti di questa tremenda stagione politica e umana”, commenta l’ex ministro dell’Interno.
All’esposizione c’è anche lui, Francesco Cossiga, l’uomo dei carri armati, l’anticristo delle rivolte giovanili. A bordo di auto blu ministeriale protette dalle scorte si presentano anche Oliviero Diliberto, Clemente Mastella e Giuliano Amato. Più defilati, alcuni ex partecipanti alla lotta armata degli Anni di piombo.
Nelle sale della galleria Monserrato Arte 900 scorrono così i flash di una stagione violenta e passionale fino al delirio, il cui ricordo, come le scritte contro Cossiga ormai erose dal tempo, appartiene ormai a un’altra era.

 

 

Disponibilità di alcuni libri citati (sempre aggiornato)

 

 

 

 

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