"Avete fatto caso che gli unici roghi della storia riguardano libri e streghe?"

 

La collana universale: dove convivono autori nazisti e autori ebrei

 

di Alessandro Zontini

 

[da Il Piccolo di Cremona, per gentile concessione]

 

Le Edizioni Mediolanum di Milano, nel corso di quella prolifica decade che furono gli anni ’30, offrirono ad un pubblico, di anno in anno, sempre più vasto e sempre desideroso di nuove, appassionanti e dotte letture, una miriade di collane spesso disorganiche ma molto importanti poiché offrivano un significativo panorama di opere non solo di autori italiani ma, anche, di autori di fama provenienti da tutto il Mondo. Direttori editoriali di notevole caratura culturale e di grande capacità riuscivano a proporre autori già celebri all’estero consentendo al pubblico italiano, troppo spesso adagiato sui nomi della letteratura patria, autori di indubbio spessore. A questo orientamento non faceva eccezione la cosiddetta Collana universale il cui sottotitolo era, giustappunto, I capolavori di tutte le letterature.

 

Una collana al passo coi tempi

Il prodotto tipografico era semplice ma di sicuro effetto presso il pubblico obbligato a selezionare le offerte più interessanti all’interno di quell’esplosione di colori che erano le librerie del periodo. Contrassegnati da un “layout” avveniristico e stilisticamente molto attuale, la collana proponeva in copertina un bozzetto o una fotografia, di chiaro rimando al contenuto dell’opera, idealmente poggiato ad una doppia banda trasversale bicroma, rosso e blu, banda che veniva ripresa anche in quarta di copertina.

Il dorso, oltre a riportare il nome dell’autore ed il titolo del libro, era presto individuabile tra altre pubblicazioni di dimensioni analoghe poiché riportava, a stampa color nero, il marchio delle edizioni Mediolanum, un’aquila imperiale al cui interno era iscritta a grandi dimensioni la lettera “M”.

“M.” ovviamente era “Mediolanum”, ma impossibile non percepire l’ovvio riferimento alla “M” mussoliniana ed all’aquila littoria. Un evidente segno dei tempi.

I capolavori proposti – o, in qualche caso, riproposti – incontravano l’apprezzamento sia di una critica esigente ed attenta ma anche di un pubblico più disinvolto ma sempre oculato nella scelta delle proprie letture. La prima uscita, Le avventure di re Pausole di Pierre Louys ebbe subito un buon successo e servì come veicolo per catalizzare l’attenzione verso questa nuova collana le cui bande colorate attiravano immediatamente l’occhio del lettore.

 

Dal premio nobel al manicomio

Fame: romanzo, di Knut Hamsun; traduzione di G. B. Varini (Milano, Mediolanum, 1933).

A quell’ interessante uscita seguirono altre proposte di indubbio interesse ed autori quali Dostoevskij, Walpole, Wassermann ed altri ancora. In particolare la terza uscita della collana è il libro Fame di Knut Hamsun, celebre scrittore norvegese (1859 – 1952) che vinse il premio Nobel per la letteratura nel 1920.

La trama è molto lineare ma la tensione morale è, viceversa, densa. Fame – che metaforicamente richiama la fame di vita – è la vicenda drammatica di uno scrittore norvegese che, nell’attesa di un miglioramento delle proprie condizioni di vita, persegue con feroce pervicacia a nutrire l’illusione che il destino possa essergli benevolo.

Come scrittore non riesce mai a raggiungere il successo ambito e vive ai margini della società tra un dormitorio e l’altro, tra una panchina ai giardini ed una soluzione di fortuna, racimolando qualche soldo grazie ai pochi articoli che riesca a piazzare sui quotidiani di Oslo, allora chiamata Christiania. La totale mancanza di disponibilità economiche conduce spesso il protagonista verso la fame e le privazioni lo indirizzano inesorabilmente verso la follia:

“Strana cosa la fame… su chiunque l’abbia un sol giorno provata, essa imprime il suo suggello…”.

Fino a che, un giorno, recatosi al porto nel suo vagabondare, riesce ad imbarcarsi su una nave da trasporto russa con il cui capitano conversa in svedese.

“E dite… vi servisse per caso un uomo in più?”. Il capitano mi osservò un certo tempo, senza dir parola. “Non hai mai fatto viaggi in mare?” – domandò e, poi, imbarca il protagonista. “Ero fradicio, spossato e febbricitante. Volsi lo sguardo alla riva di Christiania dove le finestre luccicavano come tanti occhi, e le mandai l’ultimo saluto”.

Knut Hamsun era un convinto sostenitore della superiorità culturale e morale della Germania e dei popoli di ceppo nordico in genere e, ovviamente, nell’Europa degli anni ’30 finì per apprezzare subito la Weltanschauung di Adolf Hitler per il quale ebbe sempre parole di lode ed apprezzamento.

 

La sua “passione” per Hitler lo tradì

Nella Norvegia occupata dalle truppe tedesche ebbe sempre a difendere il Fuhrer in nome di un pangermanesimo assoluto e indiscusso. Subito dopo aver appreso che Hitler si era ucciso nel bunker della Cancelleria durante la battaglia di Berlino il 30 aprile del 1945, Knut Hamsun scrisse e fece pubblicare su un importante quotidiano norvegese un necrologio che attestava la sua stima nei confronti di Hitler:

“… Fu un riformatore del più alto rango … ogni europeo occidentale dovrà ricordare Adolf Hitler. Noi che fummo i suoi seguaci, invece, chiniamo il capo di fonte alla sua scomparsa”.

Hamsun venne arrestato con l’accusa di tradimento e collaborazionismo a causa delle sue palesi simpatie naziste. Dopo l’arresto i suoi libri furono dati alle fiamme in numerose piazze della Norvegia in una simbolica nemesi che rimanda ai roghi dei testi bruciati dai nazisti a Monaco nel 1933. Processato, fu dichiarato incapace di intendere e di volere, dopo essere stato richiuso in un ospedale psichiatrico, con un percorso di analoga simmetria alle vicende che interessarono il poeta Ezra Pound.

 

Ma c’è posto anche per Vicki Baum

La via del palcoscenico: romanzo, di Vicki Baum; traduzione di Mario Benzi (Milano, Edizioni Mediolanum, 1934).

Curiosamente, nella Collana universale il titolo Fame “convive” fisicamente con La via del palcoscenico di Vicki Baum e, con quello, condivide le caratteristiche di indiscutibile capolavoro letterario.

Hedwig “Vicki” Baum (1888 – 1960) è stata un’interessantissima scrittrice di origini ebraiche. Nata a Vienna aveva una enorme passione per la musica e divenne un valente suonatrice d’arpa esibendosi in Austria ed in Germania davanti ad un pubblico che l’apprezzava molto. Il suo destino di autrice fu del tutto casuale. Accantonata l’arpa e gli spartiti, Vicki amava molto scrivere tessendo storie di vita comune ma molto ben sceneggiate ed ambientate.

La sua attività di scrittrice era una sinecura cui la stessa donna non attribuiva il corretto valore. Casualmente la bozza del suo romanzo Menschen im Hotel venne letta e ritenuta molto interessante da alcuni produttori della feconda Hollywood degli anni ’30, sempre in cerca di trame per realizzare film di successo.

La Baum, anche a causa del progressivo antisemitismo che serpeggiava in Europa, riparò negli Stati Uniti ove le fu commissionata la sceneggiatura del suo romanzo. Il film interpretato da Greta Garbo e da Joan Crawford, è cosa nota, vinse il premio Oscar del 1932.

In seguito la Baum ridusse per iscritto una dozzina di altre sceneggiature per altrettanti film della fine degli anni ’40 e primi ’50 tra cui Ragazze folli del 1955. Il romanzo, ovviamente ambientato all’interno della cornice del mondo del teatro, è l’occasione per la Baum di fare sfoggio di una vasta cultura e l’artista riesce a spaziare da Wagner a Mascagni, da Correggio alla mitologia greca, con rapidi rimandi che, tuttavia, non affievoliscono il ritmo, avvincente, della narrazione.

Inutile sottolineare che la Baum e Hamsum avrebbero urgente necessità di essere riproposti ai lettori moderni che, troppo spesso, sono indugiano su scialbe prose e noiose vicende letteralmente gettate sulla carta da improvvisati scrittori. Resta, ma lo valutiamo con l’attenzione di uomini e di donne moderni, il bizzarro accostamento, seppur del tutto casuale, tra la scrittrice ebrea e l’autore filonazista, che potrebbe provocare una certa riprovazione.

D’altro canto se, nella Germania nazista degli anni ’30, vi furono Brecht, Doblin, Gropius, Grosz, Mann, Marcuse, Kandinskij, Remarque, Schonberg e Zweig, che si opposero a Hitler ed alla dittatura, vi furono pure Fallada, Furtwangler, Gieseking, Grundgens, Heidegger, Junger, Karajan, Nolde, Orff, Sauerbruch, Strauss che, viceversa, aderirono. Soprattutto vi fu Carl Schmitt, il celebre giurista che non seppe o non volle opporsi alle mostruosità hitleriane e di cui, seppure sotto lo pseudonimo filmico di Ernst JanningBurt Lancaster ci ha lasciato una notevole interpretazione nel film Vincitori e vinti diretto, nel 1961, da Stanley Kramer.

 

 

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