"Avete fatto caso che gli unici roghi della storia riguardano libri e streghe?"

Divagazioni in margine a quattro racconti

di Daniele (stucchevole assaggiatore di libri)

 

Goethe muore, di Thomas Bernhard (Milano, Adelphi, 2013), prima edizione italiana.

Stavo pensando, mentre leggevo la nuova edizione di questo piccolo e prezioso libretto, che quando nell’inverno del 1982 Thomas Bernhard (1931-1989) scrisse “Goethe schiatta”, e nella prima delle quattro prose immaginava Goethe invitare Wittgenstein a Weimar , qualcun altro avrebbe fatto bene a invitare Thomas Bernhard a Torino a far visita a Primo Levi.
Bernhard nel suo libretto inventa un Goethe ormai al termine della sua vita e in vena di bilanci che necessita di un incontro con il grande filosofo.
Se quell’incontro fosse avvenuto realmente forse le ultime celebri parole di Goethe non sarebbero state una supplica ad aprire le imposte e a scostare le tende per ottenere: mehr licht!, mehr licht!” (più luce! Più luce!), ma sarebbero state sostituite, presumibilmente immagina Bernhard, da un più lucido: “mehr nicht, mehr nicht” (più niente, più niente).
Ma ciò non avvenne, perché un anacronismo del genere non è avvenuto se non nel non incontro fra Goethe e Wittgenstein. Avrebbe invece potuto storicamente Bernhard recarsi a Torino per parlare con Levi. E forse Levi non si sarebbe mai lanciato dalla tromba delle scale.

Se questo è un uomo, di Primo Levi (Torino, De Silva, 1947), prima edizione con la sovraccoperta disegnata dall’autore.

Poche ore prima di suicidarsi, e questo è un aneddoto autentico perché mi è stato raccontato dalla bocca di chi lo ha vissuto, Primo Levi entrò in una nota e storica libreria antiquaria di Via Accademia Albertina a Torino, libreria presso la quale lavoravo quando ero iscritto a un’università qualche centinaio di metri distante da quella libreria nel centro di Torino, e dove in una mattina pigra di lavoro trattavo l’acquisto della prima edizione De Silva di Se questo è un uomo con l’anziano titolare della libreria, dando praticamente fondo ai pochi soldi che guadagnavo e sperperavo nella stessa libreria, e il mio datore di lavoro, forse per rendere più allettante e giustificato il prezzo elevato di quella prima edizione che stava per vendermi, mi raccontò che Levi era un affezionato cliente della sua libreria e una manciata d’ore prima di suicidarsi era entrato lì dentro dove ora parlavamo il libraio e io, per cercare un vecchio libro di un autore francese, e Levi, raccontava il libraio, sembrava assolutamente normale, e avevano chiacchierato amabilmente come ogni volta, il libraio e Levi, e il libraio vedendolo entrare lo aveva salutato domandando come sempre “come stai, Primo?

E Levi aveva sorriso con il suo sorriso lieve e risposto che stava bene, che andava tutto abbastanza bene, e dopo aver acquistato il libro che cercava e scambiato ancora quattro parole era poi uscito dalla porta sorridendo e aveva salutato proprio come tutte le volte precedenti, mi aveva assicurato il libraio, e terminando questo aneddoto, il libraio aveva guardato in direzione della porta come se Levi fosse uscito da lì proprio in quel momento, e anche io avevo guardato la porta come se invece Levi dovesse entrare da quella stessa porta per confermarmi la versione del libraio.
E mi ero domandato per quale motivo un uomo non folle che si sarebbe da lì a poco ucciso sfracellandosi contro il pavimento avesse, poche ore prima risposto alla domanda come stai di un conoscente libraio, deciso di mentire, sicuramente di mentire, affermando che andava tutto bene, abbastanza bene, e se al librario e alle persone in generale interessasse veramente sapere come stai quando la loro domanda dovrebbe supporre che vogliono saperlo.
E mi domando adesso, se Levi avesse letto il secondo racconto dedicato alla passione di Bernhard per Montaigne, o se Bernhard stesso gliene avesse parlato, se si sarebbe ugualmente ucciso gettandosi dalla tromba delle scale oppure no. Bernhard si salvò grazie alla lettura dei filosofi, dichiara lui stesso, e in particolare dell’amato Montaigne, e lo capisco bene, perché pure io mi sono salvato fino ad oggi grazie ad alcuni libri che ho letto, e come me moltissimi, e anche Levi si salvò per molti anni grazie alla passione per la lettura e per il lavoro. Bernhard racconta di quando i suoi genitori lo ficcavano dentro indumenti verdi quando avrebbe voluto indossarne di rossi, leggeri quando ce ne sarebbero voluti di pesanti, di quando se voleva camminare doveva invece correre e quando doveva correre lo facessero camminare, di quando voleva un po’ di quiete e non gli davano tregua, di quando avrebbe voluto gridare e gli tappavano la bocca. Racconta Bernhard, e si libera, degli anni trascorsi come rinchiuso in una stanza costretto a venire a patti con i suoi carcerieri. Di come gli avessero inculcato il modo in cui bisognava leggere i libri e guardare i quadri e ascoltare la musica. Di come bisognava gridare nel bosco per ottenere l’eco, di come non fosse riuscito per troppo tempo a opporre resistenza. E di come passarono i decenni e lui avesse continuato per tutti quegli anni a fissare i quadri come gli avevano insegnato, con quello sguardo ottuso, e con la stessa ottusità avesse continuato a leggere i libri, e altrettanto ottusamente ad ascoltare la musica. E su come dicesse sugli autori che leggeva e che osservava e ascoltava, le stesse cose e alla stessa maniera che gli avevano inculcato i suoi insegnanti. Nel modo più banale, finché aveva deciso finalmente di diventare un uomo indipendente e libero.

So bene cosa dovette provare Bernhard e ancora meglio cosa passava nella testa di Primo Levi. Il peso della memoria che ti porti dietro per essere tra i pochi sopravvissuti in un mare di sommersi. Mio nonno uscì vivo come Levi da un campo di concentramento ma morì dodici anni dopo, quarantenne, per i postumi non solo fisici della carcerazione. Si portò dietro il senso di colpa perché in quel campo aveva visto morire suo fratello e sua sorella, quest’ultima molto più giovane di lui.

E io stesso sono sopravvissuto a mia figlia, che è morta a cinque anni a causa di un incidente stradale. E mi porto dietro lo stesso senso di colpa, perché non ero presente, perché avrei potuto fare una scelta diversa e invece ero a tanti chilometri di distanza. Ed ebbi consapevolezza di non essere più la stessa persona solo molte settimane dopo. Quando mi diedero la notizia ero in un albergo e non avevo ancora aperto la valigia che avevo riempito malamente e di fretta poche ore prima quando mi avevano chiamato per svolgere un lavoro che avevo accettato.

Avevo preso la valigia così com’era ed ero tornato a casa senza aprirla se non dopo parecchio tempo. Quando lo feci, scoppiai in lacrime osservando l’immagine innocente di una camicia che avevo infilato piegandola male e frettolosamente prima della mia partenza, perché in quel momento prendevo coscienza che quella valigia era stata preparata da un altro me, un altro uomo che solo da quel giorno iniziai a compiangere.
Quel giorno desiderai buttarmi in mare e annegarmi. L’avrei fatto in modo sereno e sicuramente, ma non avevo il mare a portata di mano e in seguito iniziai a leggere un libro dietro l’altro e alcuni libri mi aiutarono a convivere con il peso della mia memoria.

Mi domando allora ancora se Levi si sia poi suicidato lanciandosi da quella tromba delle scale perché non aveva trovato sufficiente medicazione dai suoi libri e dai suoi studi, e sono convinto che il suo sia stato un suicidio e non un incidente dovuto a un giramento di testa a causa dei farmaci che assumeva contro la depressione. Perché, anche se così fosse, la depressione era in corso perché dentro di lui qualcosa non desiderava più andare avanti, e non si sarebbe mai ucciso con qualche veleno come alcuni ipotizzarono avrebbe potuto fare in quanto chimico ed esperto di veleni, scegliendo invece un modo così insicuro e cruento di farla finita, perché un uomo che aveva visto morire migliaia di persone per avvelenamento da gas non sarebbe mai stato così imbecille e insensibile da privarsi la vita allo stesso modo di come l’avevano perduta gli uomini rinchiusi nei campi di concentramento insieme a lui.
E mi domando, infine, se sarebbe cambiato qualcosa, se Levi avesse deciso di non trattenersi e quella mattina o quel pomeriggio all’interno della libreria dove era andato ad acquistare un vecchio libro, alla domanda cortese e disinteressata del libraio “ Ciao Primo, come stai? “ anziché bene, abbastanza bene, avesse risposto,
– Uno schifo, ma tengo duro, grazie.

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