"Avete fatto caso che gli unici roghi della storia riguardano libri e streghe?"

 

Il Caso Alberto Olivo: un oscuro mistero del XX secolo

 

Nel cuore della vibrante Milano dei primi del ‘900, montò una storia macabra e intrigante che catturò l’attenzione dell’opinione pubblica: il caso di Alberto Olivo. Figura apparentemente insignificante, Olivo diventò l’epicentro di un mistero criminale che suscitò ampia risonanza mediatica.

 

Alberto Olivo era nato il 2 giugno 1856 a Udine. Cresciuto in una famiglia benestante, manifestò fin da giovane un talento brillante e si dilettò tra i libri di poesia e matematica. Vedendo in lui un futuro promettente, i suoi genitori lo incoraggiarono a studiare per divenire un uomo di successo. Tuttavia, il destino avrebbe assegnato a Olivo un ruolo diverso e del tutto imprevedibile.

Cercando di sistemarsi, Alberto Olivo emigrò a Milano, trovando un posto come contabile presso la rinomata ditta di ceramica Richard Ginori. Per dieci anni visse da scapolo, dedicandosi alla sua passione per la letteratura e la poesia nel suo appartamento in via Modestino.

Nel 1895, Olivo decise finalmente di crearsi una famiglia. Attraverso un organizzatore di matrimoni, conobbe Ernestina Beccaro, una semplice serva semi-analfabeta di 27 anni, proveniente dalle campagne biellesi. Nonostante il divario di cultura e status, Olivo vide in lei la figura della sua amata madre e la scelse come compagna di vita.

Pur avendo un inizio apparentemente tranquillo, il matrimonio tra Olivo e Ernestina prese una piega tragica. Germi insidiosi apparivano nella loro vita coniugale, aspre scene domestiche, con l’onnipresente ossessionante tirchieria di Olivo, fino all’inevitabile conflitto tra le loro differenti mentalità.

Il punto di rottura giunse la sera del 16 maggio 1903. Quella notte, un alterco tra la coppia culminò in un evento raccapricciante. Alberto Olivo, in un incontrollabile eccesso di collera, fece compiere una fine violenta e prematura alla vita della povera Ernestina.

La scoperta del crimine sconvolse la Milano del tempo. L’idilliaca immagine del signor Olivo, il modesto contabile, s’intorbidì improvvisamente nella figura oscura dell’assassino. I dettagli sordidi dell’omicidio, esposti durante l’inchiesta e il processo, colpirono duramente l’opinione pubblica.

Il processo ad Alberto Olivo attirò pertanto una morbosa attenzione nazionale, diventando uno degli episodi più clamorosi del secolo. Dettagli inquietanti vennero alla luce, testimonianze contrastanti crearono un clima di incertezza e scetticismo.

Nonostante la chiara prova della colpevolezza di Olivo, il caso rimase un enigma avvolto in un manto di incertezze. Detti e contraddetti, manipolazioni e speculazioni, resero difficile districare la verità nascosta dietro il velo di bugie e mezze verità che era sorto intorno.

Il caso Alberto Olivo affascina ancora. Un episodio inquietante, un ritratto drammatico dell’oscurità dell’animo umano, un esempio sconvolgente di come la tranquilla vita borghese possa nascondere segreti nefasti.

Spesso ricordato come il “processo più pazzo del secolo”, il caso di Alberto Olivo rimane un punto di riferimento per gli appassionati di storia criminale. Un caso emblematico di come la facciata di rispettabilità possa velare oscure realtà, un avvincente racconto di economia familiare, ambizione e gelosia che culmina nella violenza più devastante.

 

Ma perché Alberto Olivo ebbe una pena lieve?

Prima di tutto, è importante sottolineare che abbiamo solo la testimonianza di Olivo riguardo alle circostanze che hanno portato all’omicidio, quindi non abbiamo una visione completa dei fatti. Inoltre, il contesto sociale e giuridico dell’epoca potrebbe aver influenzato la sentenza.

È possibile che alcuni fattori abbiano mitigato la severità della pena. Ad esempio, potrebbe essere stata considerata la difesa di Olivo come una reazione impulsiva alla serie di insulti pesanti da parte della moglie, compresi quelli rivolti alla memoria della sua amata madre.

Per quanto riguarda la condanna lieve, bisogna effettivamente rilevare che, durante il processo, avvenuto nel giugno del 1904, la giuria si dimostrò incredibilmente clemente, in pratica assolvendo Olivo. Nel secondo grado di giudizio, Cesare Lombroso, il celebre criminologo e perito nel processo, sostenne una tesi poco convincente sulla pazzia di Olivo, auspicando l’assoluzione e la sua segregazione in un manicomio. Tuttavia, giurati e giudici decisero invece che Olivo aveva compiuto un delitto d’onore, considerando l’omicidio come l’epilogo di un lungo periodo di provocazioni e mancanza di rispetto da parte della moglie. Di conseguenza, Olivo fu giudicato colpevole solo di vilipendio e occultamento di cadavere e condannato a una settimana di galera e al pagamento di 135 lire.

 

L’unico libro coevo sull’argomento

L’unico libro dell’epoca specificatamente dedicato al caso di Alberto Olivo è il coevo Il caso Olivo, di Cesare Lombroso, A. G. Bianchi; con aggiunta in appendice, L’autobiografia di Alberto Olivo (Milano, Libreria editrice nazionale, 1905). L’opera, pur essendo conservata in decine di biblioteche aderenti al Sistema Bibliotecario Nazionale, si è fatta rara sul mercato dei libri fuori commercio.

 

Il libro ha avuto di recente alte valutazioni sul mercato delle librerie d’occasione e antiquarie:

 

 

 

 

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