"Avete fatto caso che gli unici roghi della storia riguardano libri e streghe?"

 

Sono passati cento anni e sembra ancora ieri

di Alessandro Zontini

 

[da Il Piccolo di Cremona, per gentile concessione]

 

 

Come nacquero le iconiche Edizioni Alpes

Le vicende storico-personali di Francesco (Franco) Ciarlantini non sono certamente quelle di un italiano atipico dell’inizio del secolo scorso. Nato nei pressi di Macerata nel 1885 si era avvicinato molto giovane agli ambienti socialisti e pacifisti diventando, in tal modo, oggetto di sorveglianza da parte delle forze dell’ordine che dovevano controllare i simpatizzanti di sinistra.
Con lo scoppio della Prima guerra mondiale, la sua originaria posizione pacifista mutava repentinamente in quella di acceso interventista. Recisi, definitivamente, i contatti con il mondo socialista, Ciarlantini combatteva nel corso della Grande Guerra come soldato semplice e, dopo la “Vittoria Mutilata”, aderiva al neonato movimento fascista.

 

Una vicenda umana, quindi, molto affine a quella di tanti uomini, intellettuali e no, di quello specifico periodo storico, ma contraddistinta ed accompagnata da innegabili ed eccezionali doti di scrittore, di editore e, diremmo oggi, di “talent scout” che l’uomo possedeva.

Quale scrittore e attento osservatore dei fenomeni politici dell’epoca pubblicava, nel 1933, per Bemporad, il celebre volumetto Hitler e il fascismo che riscontrava notevole successo.

Il caporale austriaco, che aveva appena raggiunto il potere in Germania, destava sia molta ammirazione che analoga preoccupazione. Ciarlantini, propugnando una rigorosa visione nazionalistica, è netto nel precisare che seppur il movimento hitleriano condivida vari aspetti con il fascismo, se ne differenzia enormemente per inclinazione e prospettive.

Questa sua visione italo-centrica emerge prepotentemente in un’altra sua celebre opera: Africa romana, un inno alla missione civilizzatrice, nel continente nero, di Roma antica e dell’Italia moderna, che della prima ne è diretta discendente.

Nella sua veste di editore, invece, già nel 1910, Franco Ciarlantini aveva fondato le Edizioni Alpes, casa editrice milanese grazie alla quale potevano essere pubblicati numerosi scrittori di innegabile talento letterario.

Circondatosi di valenti collaboratori, Ciarlantini individuava uomini e donne, italiani e stranieri, che sarebbero emersi per notevoli doti letterarie; allo stesso va ascritto il merito di aver proposto, tra le opere di autori di origini non italiane, l’inedito Umiliati e offesi di Fëdor Dostoevskij, i lavori di G. K. Chesterton, i romanzi di Joseph Conrad.

Tra gli italiani è impossibile non citare I Vàgeri (senza data, ma del 1926) di Lorenzo Viani, le numerose opere di Mario Appelius, il famoso giornalista inventore del motto “Dio stramaledica gli Inglesi!“, Gli indifferenti (1929) di Alberto Moravia, giovane autore cui nessuno aveva ancora concesso aperture di credito (caparbiamente, Moravia, per poter pubblicare il suo romanzo, chiedeva al padre un prestito in denaro che, in seguito, restituiva puntualmente grazie alle vendite dei mille esemplari stampati di tale capolavoro) ed altri ancora.

Le Edizioni Alpes si contraddistinguevano per un catalogo prevalentemente di romanzi ma, all’interno dello stesso, non mancavano saggi arditi ed innovativi. Scegliendo a caso tra le tante singolari proposte, e ricorrendo nel 2021 i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, è d’obbligo citare il prezioso e curioso lavoro di Emanuele Correa D’Oliveira dal chilometrico titolo: Dante e Beethoven: saggio sintetico sull’arte. Con uno studio critico estetico sul proemio dantesco e sulle nove sinfonie.

Alla capacità di individuare autori di valore, Ciarlantini accostava l’abilità nell’ingaggiare artisti di chiara maestria per la realizzazione delle bellissime copertine delle sue Edizioni Alpes. Tra questi piace ricordare Mario Sironi e il disegnatore Veneziani autore di innumerevoli tavole.

 

Alla scoperta di Bice Viallet

 

Se, per diletto, si potessero radunare tutti i libri stampati dalle Edizioni Alpes, si resterebbe sbigottiti davanti alla manifesta bellezza grafica delle loro copertine. Tra le tante, colpisce, per la sua semplice e raffinata eleganza, la copertina bicroma del romanzo La nemica di Bice Viallet realizzata dal già citato Veneziani.

La nemica (1928), di cui sono note, nel sistema SBN, solo sette copie e, allo stato, nessun esemplare si trova in vendita su eBay o su Maremagnum, è un romanzo di carattere intimista che indaga sugli stati d’animo ed i sentimenti dei coniugi Giorgio, di fede socialista, e Cristina, fervente cattolica, attorno ai quali di affastellano numerosi, ma ben caratterizzati, personaggi.

Il volume, molto ben scritto ed accurato nei dettagli narrativi fino al suo tragico finale, va incluso nella grande prosa dell’epoca ma non risulta premiato da un successo che, viceversa, meritava. Poco noto il libro come è poco nota l’autrice, figura assai interessante di cui sono rari i dettagli biografici.

 

L’arte non ha sesso

 

Nell’ambito degli studiosi della storia dell’arte, Bice Viallet è celebre per aver compilato un importante trattato: Autoritratti femminili delle Gallerie degli Uffizi in Firenze, del 1923. Corredato da quaranta tavole fuori testo, il volume (che pare, per intento e volontà celebrativa, il Vasari de Le vite) è un appassionato studio di una serie di autoritratti realizzati da varie artiste (ventinove pittrici, tra cui Sofonisba Anguissola, ed una scultrice) che, nei secoli, seppure munite di abilità artistiche pari, o superiori, a quelle degli artisti uomini, non hanno trovato la giusta valorizzazione e la dovuta – per ontologici ed evidenti meriti artistici – celebrazione.

L’analisi degli autoritratti, nell’economia di intenti della Viallet, è essenziale: “Ogni ritratto vale una biografia, ma ogni autoritratto vale un testamento ed una confessione”. La donna artista, a giudizio di Bice, deve profumare la vita con la sua bellezza e la sua eleganza e deve essere ambasciatrice di sentimenti ed emozioni profonde e mai banali. Quasi una confessione programmatica quella dell’autrice che, con il predetto volume, colmava una situazione ritenuta gravemente sperequata: la mancanza di un’analisi attenta ed accurata delle “grandi signore” dell’arte ed una loro, consequenziale valorizzazione.

La redazione del trattato è, indubbiamente, la diretta conseguenza di un articolo, estremamente acuto, di Bice Viallet che, dopo aver visitato la celebre esposizione di autori del ‘600 e del ‘700 tenutasi a Firenze nel 1922, forniva un intelligente e provocatorio contributo sul volume LV del 1922 di Emporium (La rivista mensile illustrata di arte, letteratura, scienze e varietà): “Quello che non c’è alla mostra del ‘600 e del ‘700 di Palazzo Pitti”.

Pur riconoscendo grandi meriti organizzativi ai curatori della mostra, notevole per la filologicamente corretta esposizione dei capolavori, Bice Viallet rimarca come la manifestazione artistica denunci gravi lacune attribuibili ad una mera questione di carattere sociale, ovverosia il ruolo di subalternità della donna nella società, almeno fino a quel momento.

L’invettiva dell’intellettuale, rivolta alla totale mancanza di opere d’arte di pittrici nella mostra fiorentina, giunge ad elencare una serie di nomi di illustri artiste i cui quadri avrebbero dovuto sostituire i capolavori esposti degli artisti uomini “perché vi fu un fiorire straordinario di pittrici e fra queste alcune ve ne furono di grande valore che lasciarono una grande rinomanza assai superiore” ai coevi artisti uomini.

Fra le tante, la Viallet cita Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana, compagna di vita di Carracci, Giovanna Fratellini, Angelica Kauffmann ed altre ancora.

L’interessante mostra visitabile a Trento al Palazzo del Buonconsiglio fino al 24 ottobre 2021, dedicata, in particolare, a “Fede Galizia, mirabile pittoressa” ma che espone anche opere di Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana, Plautilla Nelli, Barbara Longhi è, idealmente, un riconoscimento agli arditi sforzi di Bice Viallet, scrittrice e critica d’arte che ha vissuto la vita di studiosa e letterata con eleganza ed intelligente acume nella difesa del valore delle donne artiste.

 

L’opinione di Domenico Cammarota

«E’ vero che su Bice Viallet si conosce assai poco, posso però affermare che non era francese, ma di nazionalità italiana; nata a Torino da padre francese (il Viallet) e madre italiana (che di cognome faceva Virano), in un anno non meglio precisato ma presumibilmente intorno al 1889-1890. Giornalista pubblicista, collaborava a numerose testate, fra cui: “La Rivista d’Italia“, “Emporium“, “Teatro illustrato“, “Varietas“,”La Donna“, “La Voce Nuova“, “Rassegna d’arte antica e moderna“, “Pagine d’arte“, “Napoleone“, ecc. Abitava a Milano, in Corso P. Vittoria n. 47; dopo il 1925 sposò l’industriale Goffredo Ullmann, proprietario d’una grande Tipografia, e assunse il doppio cognome Bice Viallet Ullmann, andando ad abitare sempre a Milano, ma in Viale Bianca Maria n. 15, e di conseguenza diradando sempre di più la sua attività saggistica… l’ultimo segno d’esistenza è dato dalla sua traduzione del verboso romanzone di William Thackeray “La storia di Pendennis” edito da Corticelli alla fine del 1945, dopodichè il buio definitivo.» (15 marzo 2023)

 

 

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