"Avete fatto caso che gli unici roghi della storia riguardano libri e streghe?"

 

Un beat boy in Italia

 

di Carlo Ottone

 

Nel settembre del 1966 sbarca dall’aereo, barcollando (whisky), in Italia Jack Kerouac invitato dalla Mondadori, l’occasione era data dall’uscita italiana di Big Sur come cinquecentesimo volume della collana Medusa. La visita in Italia di Kerouac durò tre giorni, un tour che lo porterà a Milano, Roma e Napoli.

 

In La vita è un paese straniero. Kerouac in Italia 1966, di Alessandro Manca, (Valencia, El Doctor Sax, 2023), l’autore ricostruisce il tour che il beatboy fece nella penisola attraverso gli articoli apparsi sulla stampa italiana dell’epoca e anche in seguito. In Italia in quegli anni il termine beat era già noto sulla grande stampa, ed era visto come un fenomeno di folclore locale, in particolare a Milano, qualcosa di esotico, di stravagante: i capelloni; tanto è vero che identificò una moda, un movimento musicale, mentre oltre oceano identificava una generazione, una filosofia di vita, una speranza, un modo di essere, un battito nuovo nella vita, una beat/itudine: “una delle possibili forme attraverso cui la vita rivendica i propri diritti naturali”.

Il termine fu coniato proprio da Kerouac nel 1947, “beat è uno stile di vita senza regole e inquieto, dominato dall’incertezza, dall’ansia e da una certa tensione insoddisfatta”, una vita On the road come Kerouac la descriverà nell’omonimo libro del 1957, editato in Italia, grazie a Fernanda Pivano, nel 1959 da Mondadori; in questo lavoro la vita e la poetica beat sono la stessa cosa, “Questo è beat, amare la vita fino a consumarla”.

La cultura italiana, gli intellettuali impegnati non compresero questo scrittore, quest’uomo, ribelle “bello come un divo di Hollywood, insofferente e ubriaco” il milieu culturale italiano “ne sminuisce il valore letterario e lo riconduce a uno stereotipo hippie”. Solo pochi ne riconoscono il valore letterario: i beat nostrani, che avevano assimilato l’essenza del beat, che avevano letto i suoi libri e che lo riconoscono come uno di loro, e un irregolare della letteratura italiana: Luciano Bianciardi che lo chiamerà il Dante Alighieri dei Sotterranei, titolo di un romanzo di Kerouac del 1958, edizione italiana 1960, “ribaltato” (tradotto, nel gergo bianciardiano) in italiano da Bianciardi, che non volle firmare la traduzione dopo la revisione effettuata in sede redazionale; nel 1961 Bianciardi tradurrà una seminale antologia, Narratori della generazione alienata. Beat generation e Angry men.

Ve n’era di che leggere, per cominciare a conoscere Kerouac e la letteratura beat. Ma come scrive Manca:

Kerouac in Italia fece i conti con un paese ingessato nel quale molti comportamenti possibili sarebbero dovuti essere soppiantati da altrettanti comportamenti necessari, E ciò sarebbe dovuto accadere attraverso una tacita consuetudine. La consuetudine secondo la quale ci si comporta come borghesi”.

Kerouac venne “esaminato” e giudicato da critici, intellettuali e dal pubblico che partecipò alle conferenze dalle suggestione più immediate “…appare quasi disattivato, portatore di un messaggio cifrato, si nega, si cela, si difende”, si sente braccato e si “nasconde…si è presentato alle conferenze ubriaco, la mente ottusa, incapace di spicciare una sola parola ma era dotato di una “intelligenza troppo lucida per non scorgere il vuoto sotto il manto dorato del successo”, e nel breve soggiorno in Italia ne sono successe di cose, e l’autore le riporta in una cronaca che si dipana, in quei giorni frenetici, tra interviste (non riuscite) tra considerazioni e piccinerie. Le giornate passate in Italia da Kerouac vengono ricostruite dall’autore che si basa sulla presentazione e sull’analisi critica di articoli apparsi sui quotidiani, alcuni a ridosso degli eventi, altri pubblicati anni dopo, e si appoggia anche a interviste realizzate in fase di ricerca, una di queste interviste è quella effettuata a Gian Pieretti che canterà alcune canzoni di Bob Dylan, “in quel momento l’unico che le cantava ero io”, alle conferenze; queste ricerche evidenziano “La volontà di travisare e di non capire la figura dell’autore da parte della stampa e di coloro che rappresentavano lo status quo letterario ma anche sociale”.

Le cronache apparse sulla stampa italiana in merito alla tournée di Kerouac vengono riportare tutte nel libro, e vale la pena di leggerle…e meditare sui (non) cambiamenti della società italiana. La palma della “migliore”, a mio parere, spetta al cantore della “casalinga di Voghera” Alberto Arbasino: “Beatnik in pensione” pubblicata su L’Espresso il 9 ottobre 1966 in cui “Avremmo la possibilità di constatare quanto una penna considerata prestigiosa possa capire ben poco di uno scrittore e collega. La distanza fra la cultura italiana e l’opera di ridefinizione del fare letterario e umano proposti da Kerouac è ampia. Sembra di assistere a un incontro fra alieni”. Su una cosa Arbasino ha ragione “Questi autori americani sono molto diversi dai nostri”. L’autore riporta anche un evento, una collaborazione estemporanea di Kerouac a Roma, dipinge un quadro con Franco AngeliLa deposizione di Cristo”. Le cronache giornalistiche seguiranno Kerouac anche a Napoli, ultimo giorno in Italia, 1° ottobre 1966. Un libro scritto con passione, un testo scritto con competenza, in appendice l’autore cita le fonti: i libri, i siti internet, articoli di giornali e riviste, contributi che l’autore ha fornito fanno risaltare quanto la prospettiva che incarnò (Kerouac) fu in buona sostanza, una traiettoria di opposizione e distruzione alla luce di un’inquietudine sempre aperta. “Nulla di ciò che disse e fece ebbe come traguardo il mercato, e nemmeno una proposta accondiscendente o compiacente. Il cuore del discorso forse è riconoscere il fatto che Kerouac non portò verità nelle sua presentazioni italiane, sicuramente non portò verità palesi e facilmente spendibili”, si presentò come un uomo, non di successo, perché successo è il participio passato di succedere.

Alessandro Manca (1985), libero ricercatore, laureato in Lettere Moderne, da anni si occupa di poesia underground italiana, della Beat Generation. Ha curato un libro documentario sulla Beat Generation italiana, I figli dello stupore, (Sirio film, 2018). Su Kerouac aveva già pubblicato nel 2019 Kerouac, viaggio in Italia, un giorno a Milano e in data n. s. Kerouac, viaggio in Italia, due giorni a Roma, pubblicati da Le Strade Bianche di Stampa Alternativa. Sempre per il medesimo editore aveva curato, nel 2020, la ristampa del romanzo underground psichedelico Il paradiso delle Urì di Andrea D’Anna, prima edizione nel 1967.

 

 

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