"Ci sono libri che da prede si trasformano in predatori. Temete i loro morsi, bibliofili"

Secsa: Petite poétique de la pathomanie du directoire, di Théodore Koenig ([Vrigny] Editions college de pataphysique, 1956)

Secsa e i suoi antichi predecessori

Ecco un libretto di cosiddetta poesia patafisica dell’autore Théodore Koenig dal titolo Secsa: Petite poétique de la pathomanie du directoire ([Vrigny] Editions college de pataphysique, 1956), stampato in appena 422 esemplari. In questo libro la lettera R è assolutamente vietata. La lettera R risulta perciò rimossa, espunta, defalcata, “sbianchettata”. Ma che libro è? Una satira della cosiddetta “erre moscia” nell’accento dei giovani dell’epoca. Una finesse, una boutade.

Ci sono illustri precedenti, anche in Italia. Per esempio, come non ricordare Lettere senza lettere, di D. D. A. L. (Torino, Alessandro Fontana, 1834). Di seguito ne fornisco uno stralcio:

“Mi reputerò sempre un genitore colmo di celesti benedizioni, sentendo buone notizie di voi, oggetto che pregio e stimo più del mondo tutto. Secondo le nostre intelligenze mi terrete conscio d’ogni vostro disegno, ed io, coi fogli che vi dirigerò nel corso di questi otto mesi, vi presenterò pochi precetti, e consigli sul modo, che voi con sode risoluzioni, e fermi proponimenti dovete render utili e giocondi i vostri momenti, sempre contento dell’opere vostre; ed in questo modo difficilmente obblierete i molti doveri, che v’incombono verso Dio, verso voi stesso ed i vostri simili. Non obblierete esser d’uopo vivere con sentimenti d’onore, con sentimenti generosi e benefici verso il genere degli uomini; che le risorse dell’uomo virtuoso sono infinite; e che il vizioso è sempre misero, ed infelice, poiché ben con stento si regge per rimettersi sul retto sentiero. Non si può divenir virtuoso, se non con fornirsi l’ingegno di utili cognizioni, di un buon cumulo di scienze, per non pentirsi poi in tempo inopportuni”.

Lettere senza lettere, di D.D.A.L. (Torino, Alessandro Fontana, 1834)

Lettere senza lettere è il titolo di un libricino non molto conosciuto, uscito il secolo scorso dai torchi di Alessandro Fontana a Torino. L’anno esatto era il 1834. L’autore non è indicato chiaramente, di lui vengono forse riportate le iniziali, che sarebbero D.D.A.L. Ciò di cui tratta la pubblicazione viene più compiutamente spiegato nel sottotitolo, che recita: “(…) ossia “Lettere di un padre a suo figlio studente nella R. Università in ciascuna delle quali manca per ordine alfabetico una delle ventidue lettere, dedicate ai padri di famiglia ed ai giovani studenti da Pietra-Santa”. In effetti è questa la particolarità del libro. In ciascuna lettera (intesa come missiva) manca una lettera (intesa come alfabetica), a turno, dalla a alla zeta. Se il lettore fa un passo indietro e ritorna allo stralcio riportato sopra, vedrà bene come nel testo – una innocente e rispettosa predica al figlio – manchi la lettera «a». E tenete conto che non ho riportato l’intera lettera, ma solo uno stralcio. È un esercizio di abilità, che mette a dura prova la capacità di adoperare parole e costruire frasi compiute, specialmente in una prosa pedante e ampollosa come quella della prima metà dell’ottocento. Ma è anche un ottimo allenamento che fa rispolverare termini dimenticati del nostro lessico per colmare i buchi che si aprono quando siamo impossibilitati nell’uso di una parola abituale. La lezione che se ne ricava è che tutto serve ma niente è necessario.

Saggio di elogj senza la R, di Luigi Casolini (nella capitale dello Stato Pontificio, stampe di Lino Contedini, 1803).

C’è un altro libro su questo filone, ancora più antico, ed è il Saggio di elogj senza la R di Luigi Casolini (nella capitale dello Stato Pontificio, stampe di Lino Contedini, 1803). L’uso della lettera «r» è bandita in tutta l’opera. Notate che Roma viene chiamata Nella capitale dello stato pontificio, per non dover usare la lettera fatale. Quella del 1803 dovrebbe essere la prima edizione, ma se ne conoscono almeno sei in tutto nell’Ottocento, segno che l’opera ebbe un certo successo di vendite. Pare che l’autore avesse la “erre moscia” e per questo motivo, auto-ironicamente, si produce in un’opera tanto singolare.

 

…e poi c’è Perec

a sinistra: La scomparsa, di Georges Perec (Napoli, Guida Editori, 1995); a destra: Oulipo. La letteratura potenziale, a cura di Ruggero Campagnoli e Yves Hersant (Bologna, Editrice Clueb, 1985).

Nel panorama letterario, in queste prove di abilità si è cimentato, ad un certo livello, l’eccentrico scrittore francese Georges Perec. L’abilità sopra accennata ha un nome: si chiama lipogramma un libro scritto senza usare una lettera. Ne sanno qualcosa quelli dell’OULIPO, un geniale laboratorio letterario che si definisce fucina della letteratura potenziale.
Non troverete mai in edizione originale Oulipo. La letteratura potenziale (Bologna, Editrice Clueb, 1985), di Ruggero Campagnoli e Yves Hersant, per fortuna ristampata un paio di volte dallo stesso editore.
Di Perec non possiamo non ricordare La Disparition (“La scomparsa”) (Paris, Éditions Denoël, 1969), prima edizione quasi introvabile; valutazioni tra i 1000 e i 2000 euro in Francia. Il romanzo è scritto interamente senza mai usare la lettera «e». Perec non disse niente all’editore, che inizialmente lesse il manoscritto come un romanzo qualsiasi, senza accorgersi della sua particolarità. L’edizione italiana, La scomparsa (Napoli, Guida Editori, 1995) è stata tradotta da Piero Falchetta; ristampata ultimamente.
In questo caso il traduttore, più che mai, deve essere scrittore egli stesso. Pensate per un attimo alle difficoltà insite in un progetto del genere. Soprattutto la forte limitazione di non poter usare certi termini, ossia tutti quelli che comprendono la lettera “scomparsa”. Non dico scrivere una frase, un periodo o, al limite, un raccontino. È opera dalle duecento-ottantacinque pagine, interamente redatta senza poter assolutamente usare parole semplici e ovvie come perché, se, che, c’è, per, te, cioè, nel, del e tutte le altre che invece riempiono questa frase. Capite? Sforzatevi! Ne converrete che è esilarante, e forse controproducente.

“Il mio primo vanto fu: Arturo. Imparai subito (mi informò proprio lui) di un astro chiamato così. Il lampo più rapido, più radioso a sud. Un antico monarca si chiamava così, viaggiava a capo di un popolo composto da uomini forti, trattati da pari a pari”.

Sarebbe stato così, io credo, l’attacco de L’isola di Arturo se Elsa Morante, mettiamo, non avesse potuto usare la lettera «e».

[Si ringrazia S. Z. per la prima segnalazione del libro di Théodore Koenig]

 

 

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